Il I° maggio 2022 vede il panorama lavorativo nel nostro Paese continuare a manifestare, peggiorate, le condizioni degli ultimi anni per i lavoratori dipendenti.
Se nel 2020 e 2021, a causa della pandemia COVID-19, abbiamo visto nascere l’esigenza di ripensare l’organizzazione del lavoro per tante categorie di lavoratori, dettata dalla necessità di ridurre gli spostamenti e gli affollamenti nel Trasporto Pubblico ricorrendo a strumenti come lo smart working, nel 2022 è la necessità di ridurre i consumi energetici a causa della speculazione sui prezzi dell’energia, partita ancora prima della reale carenza potenzialmente derivabile dalle conseguenze dello stato di guerra in Europa, che ci ricorda come i modelli organizzativi del lavoro del passato vadano rinnovati.
Sicuramente va rinnovato il sistema di garanzia della sicurezza sul lavoro, ormai evidentemente inadeguato se non nella normativa, certamente nei controlli e nelle sanzioni se, nei primi tre mesi dell’anno, gli infortuni sul lavoro sono aumentati di oltre il 50% con ben 189 morti, certificando una tendenza già vista negli scorsi anni.
Di fronte a questi numeri è difficile parlare di “incidenti”. Più facilmente, siamo in presenza di un generalizzato fenomeno di mancanza di sicurezza generato da condizioni di lavoro che sono andate via via degenerando, favorite da una mancanza di cultura non solo specifica della sicurezza, ma, più in generale, della mancanza di Cultura derivante dall’impoverimento del sistema di Istruzione cui abbiamo assistito negli ultimi vent’anni. Per non parlare di quella perla di sfruttamento chiamata “alternanza scuola lavoro”, che pure ha avuto le sue vittime.
In un paese dove il caporalato resta diffuso sul tutto il territorio, dove sono fannulloni coloro che non si piegano a lavorare 15 ore al giorno, sette giorni su sette, per poche centinaia di euro al mese, dove resta diffuso il lavoro in nero e le buste paga false, è proprio una sorpresa scoprire che la prima vittima è la sicurezza?
Di sicuro le risorse economiche non vengono utilizzate a beneficio dei Lavoratori: oggi in Italia ci sono 39 Contratti Collettivi di Lavoro, di questi ben 34 sono in attesa di rinnovo, a titolo di esempio citiamo il CCNL Autoferrotranvieri, quinquennale, scaduto nel 2017: è praticamente “saltato” un intero periodo contrattuale!
Con l’attuale livello di inflazione stiamo parlando del generale impoverimento di 6,8 milioni di lavoratori dipendenti, il 55,4 % del totale.
Con quali risorse dovrebbe funzionare l’economia del Paese? Chi deve acquistare quello che si produce? Quale è il modello di economia che ha in mente il Governo se la metà della forza produttiva non è in grado di sostentarsi con il lavoro? Sussidi e bonus? Mentre gli imprenditori e le multinazionali delocalizzano dopo aver fatto man bassa del nostro Know How?
Questo primo maggio deve essere uno spartiacque: i lavoratori devono essere rimessi in grado di vivere dignitosamente con i loro stipendi, senza se e senza ma.
E al sicuro.
(I dati citati sono dati Istat/Inail)
Il Segretario Nazionale
Dott. Domenico De Sena
“La vicenda del ritiro di 100 milioni di investimenti messo in atto dall’ azienda farmacologica Catalent di Anagni è paradossale ed è purtroppo figlia del suo tempo. Nel senso che la salvaguardia dell’ambiente, tema che interessa tutti, è spesso confuso con l’immobilismo privo di lucidità delle istituzioni deputate a questo.
Istituzioni che operano nell’attesa di mirabolanti evoluzioni che invece dipendono solo dall’applicazione fattiva e concreta del lavoro che debbono fare.
La contrapposizione tra produzione industriale e quindi della crescita del lavoro umano ed i temi della conservazione e del miglioramento dell’ambiente in cui si produce , è un falso problema e diventa tale se lo si affronta con soluzione di continuità.
La revoca dei fondi destinati all’implementazione è stata determinata dall’inerzia di chi doveva fare il proprio lavoro e questo non è accettabile.
La CONFAIL Nazionale, uno dei sei sindacati ammessi al contratto del lavoro del comparto chimico in Italia, si duole profondamente per questa interruzione non virtuosa della catena del lavoro proiettato al futuro nell’azienda Catalent alla quale chiediamo una sospensione del provvedimento.
In un recente passato tale struttura era legata ad un’altra che si trova nel territorio pontino nel comune di Sermoneta, l’azienda Corden Pharma, che sta affrontando un periodo critico di cui ci stiamo facendo anche noi carico per trovare delle soluzioni propositive al rialzo, perché siamo convinti che la grande competenza acquisita dal management e dalla forza lavoro dei nostri territori nel settore specifico sia un valore di alto profilo che non deve essere depauperato ma incrementato.
In questa visione la CONFAIL vuole lanciare un messaggio di collaborazione con la forza lavoro dello stabilimento di Anagni per rafforzare la loro voce nelle trattative sindacali ed in generale nel comprensorio del Frusinate per il settore chimico e della Gomma Plastica.
Così, in una nota, il Segretario Nazionale F.A.I.L.C. – CONF.A.I.L. Giovanni Chiarato.
Ho letto i giornali di oggi. Il titolo de La Stampa riflette per intero l’idea del male che grava su di noi nelle agghiaccianti immagini televisive. Nè le celebrazioni del Venerdì Santo, nè il ritorno dei turisti nelle città d’arte, nè i quindici milioni di italiani in viaggio possono soppiantare gli orrori dell’aggressione di Putin all’Ucraina, descritti anche dai quotidiani oggettivamente filo Putin come il Fatto ma solo nelle pagine interne: “mattatoio Kjiv, fosse comuni, esecuzioni, bombe nelle lavatrici, 900 civili trucidati”. In prima pagina invece il giornale di Travaglio deplora che i soldati inglesi siano in Ucraina per addestrare i militari locali all’uso delle nuove armi indispensabili a resistere, come se la difesa non fosse una scelta logica. Putin mette al bando Boris Jhonson e abbatte un aereo cargo presumibilmente carico di aiuti e di armi. A Mariupol scade l’ultimatum dei russi, il Giornale la dà già in mano agli aggressori. Repubblica non potendo usare “Guerra e pace” di Lev Tolstoj titola “Guerra e fame” perchè “la guerra ha distrutto la sicurezza alimentare dei paesi in via di sviluppo e avremo un miliardo in più di persone malnutrite”, visto che dall’Ucraina e dalla stessa Russia arrivava gran parte dei cereali. Quirico su La Stampa racconta l’epopea delle acciaierie, da quella di Stalingrado difesa dai tedeschi a quella di Mariupol difesa dagli ucraini contro i russi. Molinari, direttore di Repubblica, spiega la “guerra d’attrito”, in pratica la guerra di trincea come nel 1915 tra tedeschi e francesi nella prima guerra mondiale. Il Messaggero apre sui porti italiani chiusi alle navi russe (eccetto per carichi di farmaci e cereali) e a quelle che hanno cambiato bandiera dopo il 24 febbraio.
Federico Rampini sul Corriere fa l’elenco dei paesi amici di Putin, sono tanti e si tratta di “verità sgradevoli”. Piero Ignazi su Domani vede nero: “il famoso orologio che segna la fine del mondo sta correndo troppo forte, va rallentato con la diplomazia. Flores d’Arcais: «Non mandare le armi è un oltraggio alla Resistenza». Il filosofo direttore di MicroMega contro l’atteggiamento dell’Associazione nazionale partigiani: «Avanzare dei dubbi sul massacro di Bucha l’ho giudicata e la giudico un’oscenità». (Alessandra Arachi, Corriere della Sera). Impossibile non condividere! Marco Revelli: “Non denigriamo la pace, la Ue fermi il duello Putin-Biden”. Intervista al politologo di sinistra: 'Putin è un fascista ed è l’aggressore. Ma qui stiamo rischiando un conflitto atomico e dobbiamo valutare le conseguenze dei nostri atti'. (Concetto Vecchio, Repubblica). I partigiani cattolici si dissociano dal putiniano Quagliarulo e dicono che è legittimo mandare armi alla resistenza ucraina. Il Corriere vince in solitudine la piccola battaglia per avere con il suo direttore Luciano Fontana la prima intervista di Mario Draghi da quando è al governo, due pagine fitte nelle quali il premier è durissimo con Putin e conciliante con i partiti e li invita a rivendicare il lavoro fatto insieme e ad andare avanti. Lui non è affatto stanco, anche se non si candiderà ovviamente alle elezioni. E sulla guerra di Putin ha parole chiare: “vuole annientare l’Ucraina, ho provato a convincerlo a fermarsi. Basta con la dipendenza energetica, la pace vale sacrifici ma saranno contenuti (uno o due gradi di temperatura in più o in meno). Abbiamo già speso 20 miliardi, vogliamo fare di più per imprese e cittadini. La maggioranza reggerà in Aula anche sul fisco e sulla riforma della giustizia”.
Il Sole apre su un dato che il governo dovrebbe ben approfondire: nel 2021 sono stati spesi solo 5 miliardi sui 13,7 del Pnrr e sono quelli degli investimenti delle Ferrovie e del bonus edilizio. La Verità incalza il governo sull’energia e poi ripropone Daniele Franco, ministro dell’Economia, a palazzo Chigi e Draghi dovesse andare alla Nato prima delle elezioni. Verità & Affari scrive che il Pnrr intanto “moltiplica dirigenti e consulenti pubblici”.
Marcello Sorgi scrive del “rischio crisi che il premier deve scongiurare”. “È come se Draghi dicesse (ma non lo dice e si guarda bene dal dirlo): i partiti giocano con le parole e non si rendono conto del pericolo a cui andrebbe incontro il Paese, di fronte a un non improbabile prolungamento strisciante della guerra. Qualcosa che nessuno si augura, ma che il go- verno deve comunque mettere in conto”.
Pronto il Piano Autunno: termosifoni più bassi e limitazioni alle imprese. Più che i condizionatori il vero problema sono i
termosifoni. E l'acqua calda. Il freddo dell'inverno, insomma, fa più paura del caldo dell'estate a un Paese che consuma ogni anno 76 miliardi di metri cubi di gas, quattro su dieci dei quali arrivano dalla Russia. L'Italia, come anche la Germania, sta cercando in tutti i modi di trovare fornitori alternativi a Gazprom. Però non è semplice. E i destini di Roma e Berlino si incrociano più di quanto non si pensi. Basta leggere l'ultimo Def, il documento di economia e finanza del governo. Gli esperti interpellati dal Tesoro per provare a immaginare cosa accadrebbe se l'Italia fosse costretta a breve a fare a meno del gas di Putin non sono rassicuranti. L'esecutivo sta facendo ogni sforzo possibile per trovare gas in altre parti del mondo. (Andrea Bassi, Il Messaggero)
Ecco le altre cronache della guerra. Mosca scrive al governo italiano: “Conseguenze per le armi a Kiev”. L’avvertimento già consegnato agli Usa raggiunge gli altri alleati. Ma Washington decide di andare avanti con le forniture. (Mastrolilli su Repubblica)
E La Stampa ammette il segreto di Pulcinella del ruolo della Nato in Ucraina. “L'esercito ucraino trasformato dall'Occidente”. Trasformare un esercito con un rigido e lento assetto post-sovietico in una forza efficace e rapida non è certo stato il miracolo della volontà degli ucraini a resistere, ma il risultato di sette anni di addestramento intensivo e 29 anni di 'scambi' militari tra forze occidentali e ucraine. Tra Nato e Kiev. È così che l'esercito ucraino, dall'ultimo dei soldati al primo dei generali, fino ai funzionari del ministero della Difesa, ha sorpreso il mondo respingendo un esercito molto più grande e meglio equipaggiato. Con addestramenti ed esercitazioni che hanno coinvolto almeno 10.000 soldati all'anno, la Nato e i suoi membri hanno trasformato le rigide strutture di comando in stile sovietico dell'Ucraina in un esercito all'altezza degli standard occidentali, in cui ai soldati viene insegnato prima di tutto «a pensare in movimento». Oggi, quando la guardia nazionale di Kiev tende un'imboscata alle forze russe, deve ringraziare l'esercito canadese. Quando lancia un missile anticarro Javelin deve ringraziare le forze armate statunitensi. Gli Stati Uniti hanno inviato per anni armi americane in Ucraina e hanno aiutato ad addestrare i loro soldati sul come usarli. Dal 2015, i berretti verdi addestrano le forze ucraine nel centro di Yavoriv, vicino al confine polacco, quello colpito lo scorso 13 marzo da 8 missili da crociera russi. Ma è da quasi 30 anni che la guardia nazionale della California si addestra con gli ucraini. (Monica Perosino, La Stampa)
Putin punta l'Occidente: colpire i convogli Nato. Inglesi a Kiev, armi Usa, Movska affondata. E Mosca pensa alla rap- presaglia eclatante. «Escalation? Chiamiamola pure Terza Guerra Mondiale, stiamo combattendo contro la Nato». Nei talk show di tutto il mondo - Russia compresa - le parole spesso superano la realtà. Ma quelle con cui Olga Skabeyeva commentava, sere fa, l'affondamento dell'incrociatore Mosk- va minacciano di rivelarsi assai concrete. Olga Skabeyeva è il volto istituzionale di Rossya Uno, la più ufficiale delle emittenti di Mosca. Abbandonando il consueto lessico dell'«operazione speciale» in Ucraina e introducendo la prospettiva di una guerra con la Nato la commentatrice interpretava, si dice, sentimenti diffusi dentro lo stesso Cremlino. E questo fa capire quali incognite comportino le attività delle forze speciali inglesi mandate a Kiev per addestrare gli ucraini all'utilizzo di quei missili anticarro NLaw diventati la dannazione dei convogli russi. La notizia, trapelata grazie ad uno scoop del Times, rischia di diventare la classica goccia capace di far traboccare il vaso. Per Mosca quel vaso è già stracolmo. Per capirlo basta la nota ufficiale indirizzata a Washington in cui Mosca prefigurava, fin da martedì scorso, «conseguenze imprevedibili» in caso di nuove forniture militari a Kiev. (Gian Micalessin, Il Giornale)
Travaglio intercetta un tweet di Boeri, il quale fa sapere che l’articolo di ieri su Repubblica sull’industria della difesa firmato insieme a Perotti sarebbe stato forzato nel titolo per renderlo più aggressivo e più militarista.
A Kiev riapre l’ambasciata italiana, Zazo: «Roma svolge un ruolo politico e l’Ucraina lo sta apprezzando». Riapre lunedì la sede italiana, nonostante ancora suonino le sirene degli allarmi. «Ora gestiremo gli aiuti umanitari e i rapporti con i 230 mila ucraini in Italia e 100 mila profughi», dice l’ambasciatore, appena tornato nella capitale ucraina. (Lorenzo Cremonesi, Corriere della Sera). Shinzo Abe, ex primo ministro del Giappone, su Repubblica: “Gli Usa devono uscire dall’ambiguità. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha ricordato a molti osservatori i rapporti tesi che intercorrono tra la Cina e Taiwan. Ma se la situazione dell’Ucraina e quella di Taiwan presentano tre aspetti di somiglianza, vi sono anche notevoli differenze. La prima similitudine riguarda l’ampio divario in termini di forza militare tra Taiwan e la Cina, così come tra l’Ucraina e la Russia, un divario che tende ad aumentare da un anno all’altro. La seconda è che né l’Ucraina né Taiwan hanno alleati militari formali, ma sono costretti a fare fronte alle minacce o agli attacchi esterni da soli. La terza è che, dal momento che Russia e Cina sono entrambe membri permanenti e con diritto di veto del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, non è possibile invocare la funzione di mediazione dell’Onu nel caso di conflitti che le vedono coinvolte. Così è stato nell’attuale attacco russo nei confronti dell’Ucraina, e così sarebbe nel caso di una crisi riguardante Taiwan. In parole povere, mentre l’Ucraina è uno Stato indipendente a tutti gli effetti, Taiwan non lo è. Per gli Usa è giunto il momento di dire apertamente che difenderanno Taiwan da qualunque tentativo d’invasione da parte della Cina”.
Gli altri temi del giorno non contano nulla, passano in secondo, terzo piano perché è la guerra che incombe ad avvelenare il messaggio di pace che porta la Pasqua. Ormai un mistero della Fede!
Una competizione che ha visto crescere le sigle sindacali autonome, premiando gli sforzi della Confail, Sindacato sempre in prima linea nella tutela dei lavoratori.
Un risultato che ha premiati l’impegno e la coerenza di una forza sindacale aperta e libera – ha detto Antonino Longo – la nostra azione continuerà a promuovere il benessere aziendale e le buone prassi in Enti in cui i lavoratori avvertono un forte bisogno di sentirsi protagonisti.